Il divo

Il volto del Potere

di Laura Grimoldi

 

Momento particolare per il cinema italiano che si conferma protagonista con Gomorra di Garrone e con Il divo di Sorrentino.

E se Gomorra è indubbiamente un film importante da tutti i punti di vista, Il divo è un ottimo film dal punto di vista cinematografico.

Sorrentino fa un tuffo nell’Italia della Prima Repubblica e attraverso Giulio Andreotti, definito a seconda del momento la volpe, il divo Giulio, Belzebù, ricostruisce il clima drammatico degli anni di Tangentopoli.

La cronaca di quel periodo è presente nelle battute e negli epigrammi cinici e taglienti di Andreotti; nei nomi e nei volti dei personaggi politici di allora, quelli della cosiddetta ‘corrente andreottiana’. Insomma c’è molto giornalismo nel film di Sorrentino, ma il tutto è poi rielaborato e amalgamato da un punto di vista più visionario.

La novità che rende stupefacente il film è forse l’Andreotti privato, quello più inventato e surreale.

Così come è folgorante l’inizio che si apre con le fredde fucilate delle didascalie su alcuni concetti chiave come DC, loggia P2; didascalie seguite dall’immagine del volto di Andreotti martoriato dal mal di testa e circondato come Gesù Cristo da una corona di aghi, l’agopuntura ultimo rimedio cinese contro l’emicrania. Così rimarranno indelebili nella storia del cinema le sequenze con la moglie, interpretata da Anna Bonaiuto. Giulio e consorte vengono ripresi nelle circostanze più intime: al telefono da Mosca, mentre Giulio dorme sotto la gigantografia di Marx; davanti alla televisione a sentire Renato Zero.

Oltre al personaggio politico legato all’idea assolutizzante del Potere, Sorrentino cerca di dare un punto di vista sull’uomo Andreotti chiuso dentro i suoi enigmi e le sue battute; un uomo che per il Potere ha costruito tutta la sua vita, manipolando le persone che gli stavano vicino e che in qualche modo gli hanno voluto bene, la moglie appunto e anche la segretaria, interpretata da una brava e intensa Piera degli Esposti.

A contribuire a questa forza di impatto visivo del film c’è la grande interpretazione di Toni Servillo; non il Toni Servillo delle Conseguenze dell’amore o di Gomorra, sempre così uguale a se stesso; qui Servillo è qualcosa d’altro. Interpreta, più che emulare, lo spirito dell’uomo Andreotti: incredibile come lo fa muovere, la camminata all’indietro, le mani, gli occhi sempre devastati dal mal di testa. Le camminate notturne, gli incontri con il gatto, le sue confessioni, le sue manie di spegnere sempre la luce, fanno di Andreotti un vero personaggio cinematografico; magari non sarà stato proprio così, ma questa è la grandezza del cinema di Sorrentino: cogliere la vena intima più che quella documentaria-sociale del personaggio.

La visione e la tesi dell’ambiguità del potere viene stemperata in questa visione più surreale di un uomo che è ed è stato un grande ‘Enigma’, e ha fatto di questa sua personale ambiguità la sua insuperabile forza.

 


 

La replica

“È una mascalzonata, è cattivo, è maligno” davanti all’opera di Sorrentino la proverbiale imperturbabilità di Andreotti, quello vero, viene meno. ‘Si può dire che esteticamente è bello, ma a me dell’estetica non frega un bel niente” ha aggiunto al termine della proiezione in anteprima personale. Il film ripropone il problema del confine tra realtà e rappresentazione, libertà artistica e diritti della persona.