Mongol

Nascita di un condottiero
di Angela Bosetto

 

Nella cinematografia asiatica, il 2008 verrà ricordato come l’anno del grande Khan. Al suo mito sono appena stati dedicati due kolossal: il russo Mongol di Sergej Bodrov (nomination all’Oscar come Miglior film straniero)e il giapponese Gengis Khan, il re della steppa di Shinichiro Sawai (campione d’incassi in patria e trionfatore all’Asian Film Festival di San Francisco). La pellicola più attesa è la seconda, spettacolare e battagliera, eppure la distribuzione italiana ha privilegiato, una volta tanto, la più intimista.

Mongol rappresenta, nelle intenzioni del regista, il primo capitolo di una trilogia dedicata alla vita di Temujin (vero nome di Gengis Khan), progetto simile a quello di Shekhar Kapur, autore di Elizabeth e The Golden Age, con Elisabetta I. Seguiamo così l’infanzia e la giovinezza del futuro condottiero come il racconto sulla formazione di un capo. Se il buongiorno si fosse dovuto vedere dal mattino Temujin avrebbe dovuto arrendersi subito di fronte alle avversità. Dopo aver visto il padre avvelenato a tradimento, essere stato imprigionato e venduto come schiavo, fugge, viene catturato e ridotto di nuovo in catene. Gli amici lo tradiscono e i nemici aumentano ma il giovane mongolo non cede a quello che sembra un destino di sventura già scritto. Sostenuto dalla fedele sposa, scelta ancora bambina (nove anni lui, dieci lei) e divenuta sua coraggiosa compagna (sottolinea, sorridendo: “Sono io che ti ho scelto, Temujin”), perseguirà il suo obiettivo con tutte le forze: riunire i mongoli in un unico popolo, regolato da leggi giuste e governato da un solo Khan.

Il film termina con la proclamazione di Temujin come Gengis Khan, aprendo la strada a un futuro di conquiste e di guerre contro coloro che l’avevano tiranneggiato. Come dice un antico proverbio mongolo: “Non tormentare mai un cucciolo indifeso. Potrebbe diventare una tigre feroce.”

Il nome del condottiero asiatico è sempre stato ritenuto sinonimo di violenza e massacro. Bodrov rovescia il luogo comune e sostiene la tesi secondo la quale la fama di Gengis Khan è stata distorta dalla propaganda cristiana e islamica. Basandosi sul poema La storia perduta dei Mogoli, costruisce la figura di Temujin come quella di un giovane saggio, che riesce a mantenere intatta la propria nobiltà d’animo nonostante le crudeltà alle quali la vita lo ha sottoposto. Solo chi ha molto sofferto è in grado di amministrare il potere e solo chi sa affrontare la paura può comandare (Temujin è l’unico mongolo che ha imparato a non tremare davanti ai fulmini).

Supportato da un attento doppiaggio, teso a restituire l’atmosfera sonora dell’originale, Mongol ha il pregio di sottrarsi agli schemi del mercato occidentale e di porsi come fiero baluardo di una cultura lontana, che troppo spesso rischia di essere fagocitata all’interno di contesti socio-economici più accomodanti.

 


 

Sergej Bodrov (Khabarovsk, Russia 1948), è conosciuto per i film La libertà è il paradiso (1989), Lucky re del deserto (1999) e soprattutto Il prigioniero del Caucaso (1997).

Del suo film ha detto: «L’Asia è un posto speciale per me. C’è qualcosa di misterioso e di non spiegabile a parole che, invece, si percepisce sullo schermo. Noi russi abbiamo vissuto sotto la dominazione mongola per oltre due secoli. Volevo raccontare la storia di Gengis Khan dalla parte dei vincitori e la sua visione panasiatica».