Robin Hood e I Tudor (Telefilm in costume)

Robin tra due Re

 

Il Robin Hood della serie prodotta dalla Bbc e interpretata da Jonas Armstrong (Rete4, martedì ore 21.10) ha l’aspetto di un giovanotto ben pettinato e gentile (foto) . Quanto al resto, è fedele al suo personaggio di bandito gentiluomo, che combatte i soprusi e taglieggia i ricchi per donare ai poveri. Del fuorilegge, che soccorre Re Riccardo Cuor di Leone nella foresta di Sherwood nell’Ivanhoe di Walter Scott, ha pose e atteggiamenti, ma molto deriva dalle ballate composte a fine ‘300 e nel ‘400, dopo una lunga tradizione orale. In questa versione tv, ironia e canzonatura sono un tutt’uno con l’epos. Il protagonista, arciere infallibile, manifesta contraddizioni fanciullesche ed è smitizzato all’occorrenza dai suoi fedelissimi al limite della parodia, mentre il tema amoroso predilige i toni leggeri e giocosi o quelli della contesa cavalleresca. Si nota anche l’eco dell’avventura mediatica e culturale toccata a Robin. L’invenzione della stampa ne accresce la fama, maschera del teatro popolare, è innalzato a protagonista di drammi nell’era elisabettiana. Il cinema dal 1910 in poi s’impadronisce della sua leggenda con interpreti come Fairbanks (1922), Flynn, Connery, ecc. Nobilitato come conte di Huntington, spodestato dal futuro Re Giovanni Senza Terra, è immaginato paladino dei Sassoni nelle rivendicazioni contro i Normanni conquistatori. Dal 1400 al 1900 diventa oggetto di ricerche circa la sua storicità e definito da alcuni antropologi una creazione dell’immaginario collettivo e collegato con l’amata Marian alle feste di Maggio, quasi un folletto della foresta. Oggi si propende ad assegnargli un’identità reale nel contesto della seconda metà del XII secolo.

Qualcosa ci porta da Hood ad Enrico VIII e alla serie The Tudors (Canale5, giovedì ore 21.15), il grandioso spettacolo ispirato al fuorilegge e alla sua banda offerto dal Re alla sua corte nel maggio 1515.

Per bravura degli interpreti, ritmo, spettacolarità, rievocazione di consuetudini e costumi, I Tudor meritano i premi loro assegnati. Convincono meno le ripetizioni, le sequenze “a luci rosse”, alcune deformazioni storiche ad effetto (v. sviluppo cronologico, grottesche nozze di Margherita, debole ritratto di Tommaso Moro).

Prosciugata da questi elementi, gli intrighi di corte, la spietatezza e l’autoritarismo del sovrano, l’ossessione di avere un erede maschio ‘ sarà poi la figlia Elisabetta I, dopo l’avo Enrico VII, la vera statista dei Tudor ‘ fino a provocare senza reali fondamenti teologici lo scisma anglicano, il suo ambizioso protagonismo di scarso successo nella politica europea offrivano la possibilità di costruire un autentico dramma storico del potere e delle passioni private. Un dramma storico rivissuto con una coscienza e sensibilità contemporanee e con una tragicità e umorismo shakespeariani, se è ancora possibile dopo le ripetute, anche recenti, trasposizioni filmiche. Un’occasione mancata per compiacere il pubblico?