Mamma mia!

Nell’arcadia degli Abba

di Laura Grimoldi

 

Un’isola gestita da donne madri, donne figlie, donne lavoratrici, donne indipendenti; è l’isola dell’amore e della fontana di Afrodite; è l’isola dove è ambientato ‘Mamma mia!’, il nuovo musical di successo di Phyllida Lloyd costruito sulle canzoni degli Abba, il famoso gruppo svedese degli anni Settanta.

Un musical travolgente, solare e spettacolare che unisce alle stravaganti coreografie e ad una messa in scena bizzarra ed estetizzante un calore e una magia che solo le belle favole riescono a sprigionare.

Il cast anche se digiuno del genere, riesce a dare il meglio di sé, cosicché Meryl Streep è perfetta sia quando corre e si diverte cantando la liberatoria ‘Dancing Queen’, sia quando in un ‘monologo’ strepitoso affina le sue corde drammatiche cantando ‘The Winner Take It All’; Amanda Seyfried, la figlia Sophie, è incantevolmente sempre con gli occhi lucidi e il cuore palpitante dall’emozione.

E gli interpreti maschili? Sembra incredibile, ma il rigido 007 Pierce Brosnan, l’avventuriero Colin Firth e l’imbranato Stellan Skarsgard, sono credibili nel loro ruolo di padri ‘per un terzo’.

In un’isola della Grecia, con una natura quasi paradisiaca e un mare cristallino, Donna (Meryl Streep) gestisce da sola e con un tocco un po’ freak un albergo che sta andando a pezzi, ‘Villa Donna’. Sua figlia Sophie, ormai ventenne, si sposa con Sky e ha un sogno chiuso nel profondo del cuore: farsi condurre all’altare da suo padre. Scopre nel diario segreto della madre, che l’estate in cui lei è stata concepita, Donna, da vera hippy, frequentava tre ragazzi. All’insaputa di tutti Sophie invita al matrimonio i suoi potenziali padri. I tre arrivano sull’isola incantata e oramai i dardi di cupido sono stati lanciati e l’amore torna a riaccendere gli animi, come canta la bellissima canzone ‘Mamma mia!’.

Insomma non è un trattato sociologico della nostra società postmoderna e fluida, il film va preso per quello che è: un musical ben fatto e divertente.

Ma qualche spunto di riflessione lo concede. Il passato ‘Figli dei fiori’ è visto non con lo sguardo della contestazione sociale e politica, ma è solo uno sfondo estetizzante e romantico: gli ex hippy, ora donne indipendenti o uomini d’affari, mantengono nel cuore il canto dell’amore, della libertà e il desiderio di un nuovo contatto con la natura.

Una patina moderna che nasconde una chiave nostalgica e conservatrice, i veri valori sono quelli tradizionali: l’amore, la famiglia, la paternità e la maternità. La madre ama la figlia, la figlia ama la madre, la madre ama da sempre il suo primo fidanzato e tutti i padri vogliono portare all’altare la loro potenziale ‘figlia adorata’. Solo quando i tasselli del cuore sono a posto, le cose vanno per il meglio e tutti sono felici e liberi di essere veramente quello che sono. Una magica fiaba postmoderna.

 


 

Più che una fiaba, un rito che celebra un mito. E non tanto come viene detto, il mito di Afrodite che nasce dalle acque del greco mar, ma piuttosto quello di Dioniso, dio dell’energia vitale, e delle menadi sue compagne, che lo celebravano danzando. Infatti è un mondo di donne quello che vive e ruota intorno a ‘Villa Donna’ che si trasformano in menadi scatenate quando sull’isola approdano le due vecchie amiche, Rosie e Tanya, irriducibili nel perseguire i piaceri della vita e del sesso, e si riforma per l’occasione l’antica band ‘Donna and The Dynamos’. «Ehi, scusa, ma questa è una festa per sole ‘galline’!» è l’avvertimento che Rosie lancia ai tre inconsapevoli e frastornati padri, capitati nel mezzo della festa per l’addio al nubilato di Sophie. Questa, dal canto suo, sospira ‘I have a dream’ e non sa che prima della fine del film il suo sogno cambierà in quello della madre che, al contrario di lei, ha abbandonato il modello materno per inseguire un sogno di ‘natura’ e ha tenuto duro, da sola, quando gli uomini, compagni d’avventura, l’hanno piantata per tornare alla ‘civiltà’. Ora però si è aperta una crepa in quel mondo femminile che ha scambiato i ruoli e cercato di inglobare anche i generi, che solo il ritorno dell’uomo e l’unione tra Donna e Sam possono sanare. Allora dalla crepa sgorga l’antica fonte di Afrodite.

Toh! sotto l’incredibile kitsch degli Anni ’70 rispunta il sogno del Cinquecento, ma a sognarlo ora sono le donne, in un musical scritto e diretto da donne con l’aiuto della componente maschile di quelli che furono i mitici Abba. Il Rinascimento, però, era riuscito a mediare paganesimo e cristianesimo in una sintesi ancorata al principio di realtà. Qui siamo ancora in arcadia, un’arcadia trash.

cs