Puccini da auditel
La prima puntata di Puccini è appena terminata battendo l’inossidabile Dottor House nella gara d’ascolti della domenica sera. Eppure su internet si alza la protesta dei melomani italiani contro la fiction di Giorgio Capitani. «Infedele allo spirito dell’artista», «Dimentico della sua musica» e «Cronologia errata» sono solo alcune delle critiche più frequenti.
Va sottolineata la nazionalità dei melomani scontenti, perché quelli americani hanno accolto la serie con una standing-ovation durante l’Italian Fiction Week di New York. Inoltre i discendenti di Puccini hanno approvato personalmente la sceneggiatura di Francesco Scardamaglia, la stessa che il critico Aldo Grasso accusa di essere «scolastica» e «agiografica». A chi dare retta, dunque?
Fa sorridere pensare che lo stesso Maestro, oggi considerato il padre del melodramma, soffrì per quasi tutta la vita della dicotomia tra i critici e la gente comune che accorreva ad ascoltarlo. Litigò più volte coi suoi librettisti (i poeti “scapigliati” Illica e Giacosa) perché ignorassero la ricercatezza e scrivessero versi semplici, in grado di essere capiti da tutti. «Puccini si svende al servizio del pubblico con storie d’amore stucchevoli e banali» sentenziavano i maligni dell’epoca «niente a che vedere con’» e giù una lista di paragoni con illustri predecessori.
Capitani non è sfuggito al tiro incrociato dei nostalgici, che hanno rievocato i meriti delle biografie televisive dirette da Bolchi e Gallone, dimenticando che ogni regista gestisce un personaggio in maniera diversa.
Ben interpretato da Alessio Boni, che compie un ulteriore passo avanti nella propria maturità artistica dopo la vibrante prova di Caravaggio, il Puccini di Capitani viene rappresentato prima come uomo e poi come musicista. I suoi dubbi e i suoi fallimenti, privati e professionali, sono più importanti per comprenderlo dei suoi successi, liquidati sbrigativamente con le congratulazioni dell’editore Ricordi (il sempreverde Andrea Giordana). La sua musica viene appena accennata per una scelta stilistica tesa a mostrare ciò che lo ha portato a comporla non il momento in cui l’ha scritta. Pur scivolando in qualche luogo comune (tipo l’immancabile flash-back) e dando per scontato che lo spettatore abbia già ascoltato l’opera omnia del Maestro, è potenziando il lato umano del genio che la fiction schiva la trappola della santificazione artistica. Con buona pace di Grasso, per evitare ogni tipo di celebrazione si sarebbe dovuto fare un film su uno degli innumerevoli aspiranti compositori dell’epoca che si ridussero a patire la fame. Puccini raggiunse la gloria e la sua stella brilla ancora oggi.
Alla luce di quanto analizzato sino ad ora, bisogna ammettere che Capitani è stato “pucciniano”, decidendo di fare una fiction tecnicamente molto semplice per toccare il cuore del pubblico e non per avere l’approvazione degli esperti.