Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

L’inossidabile

di Angela Bosetto

 

La prima volta che lo abbiamo incontrato era nella giungla amazzonica sulle tracce di un idolo d’oro. Nel corso degli anni, è sopravvissuto al potere distruttivo dell’Arca Perduta, ha sconfitto gli adoratori di Kalì e ritrovato il Santo Graal. Lo avevamo lasciato mentre cavalcava verso il tramonto in Giordania insieme al padre, con un saluto che aveva il sapore di un addio. Invece, dopo diciannove anni, il professor Henry Jones Junior, detto Indiana (o Indy), stacca la frusta dal chiodo e si rimette il feltro in testa.

L’archeologo più amato (e spericolato) della storia del cinema venne creato nel 1981 dalla fantasia dei due eterni ragazzi di Hollywood, ovvero Steven Spielberg e George Lucas, come omaggio alle pellicole d’avventura che avevano influenzato la loro giovinezza. Grazie al rifiuto di Tom Selleck (Magnum P.I.), Indiana prese le sembianze e il ghigno beffardo di Harrison Ford.

Riportare sullo schermo un mito a riposo è sempre un’operazione rischiosa, tanto più che in vent’anni il cinema è radicalmente cambiato, sia come tecniche (il dominio assoluto degli effetti speciali computerizzati) che come linguaggi. L’unica possibilità per poter mantenere coerente il personaggio sta quindi nel modificare radicalmente anche il suo mondo, facendo passare lo stesso lasso di tempo.

È il 1957. Troviamo Indy in splendida forma fisica, nonostante abbia abbondantemente passato la sessantina, ma afflitto da altre preoccupazioni: il padre e l’amico Marcus sono morti, il secondo conflitto mondiale gli ha lasciato una serie di cicatrici ancora aperte e, come se non bastasse, l’America è in piena Guerra Fredda. A causa del suo passato nei servizi segreti è persino costretto a lasciare l’insegnamento universitario. Sembra ormai avviato al glorioso declino di quei vecchi ruderi ai quali dava la caccia in passato. A farlo tornare in azione ci pensa Mutt Williams (Shia LaBeouf, in un ruolo a metà tra Il selvaggio e Grease), teppistello dal cuore d’oro, che si rivela essere figlio di Marion Ravenwood (Karen Allen, partner di Indy ne I predatori dell’Arca Perduta). Un gruppo di sovietici, capitanati dalla gelida dottoressa Irina Spalko (Cate Blanchett, cattiva doc), ha rapito sua madre ed è alla ricerca di un teschio di cristallo, che pur essendo d’epoca precolombiana, rivelerebbe un’origine aliena. Davanti a una simile richiesta di aiuto, con annessi risvolti d’interesse scientifico e amoroso, il nostro eroe non può certo sottrarsi. Da qui il via alla classica girandola d’inseguimenti, duelli, trabocchetti, tombe inesplorate, pericoli mortali e civiltà scomparse, dove non mancano risate e citazioni. Inoltre, se Marion è la madre, chi potrebbe mai essere il padre di Mutt?

Visto che la formula funziona ancora benissimo, una domanda sorge spontanea: potrebbe arrivare il quinto capitolo di Indiana Jones? La risposta è nell’ultima scena del film.