Il dubbio

Il dubbio e la paura

di Cecilia Salizzoni

 

Il cinema c’entra poco nel film che John Patrick Shanley ha tratto dal proprio dramma teatrale presentato off-Broadway nel 2004 e diventato in breve un successo internazionale. Il dubbio è un film da camera giocato nel continuum imprecisato tra canonica e scuola cattolica di una parrocchia del Bronx, che si regge sulla contrapposizione di due caratteri e sulla bravura mostruosa, benché caricata, degli interpreti. Lei è Meryl Streep che nel giro di pochi mesi vediamo passare dai jeans hippy e libertari di Mamma mia! alla rigida cuffia nera preconciliare di sister Aloysius, preside a St.Nicholas; lui è Philip Seymour Hoffman che lo scorso anno faceva il figlio quarantenne malmaturato nella Famiglia Savage, e ora veste la talare irlandese in modo impressionante. A mediare tra i due e lo spettatore, la giovane sister James, candida ma non per questo innocua, cui presta volto e modi perfetti Amy Adams piombata qui in differita dal pozzo fatato di Come d’incanto.

Lo scontro è tra due modi di intendere la fede e di essere nel mondo. Da un lato la modernità di padre Flynn che preannuncia il Concilio e una visione cristiana nettamente spostata sul versante dell’amore per il prossimo e la comprensione delle debolezze umane; dall’altra la certezza granitica di suor Aloysius guardiana dell’ordine antico, attento più alla virtù che all’amore, sempre pronto a ingaggiar battaglia col Male senza preoccuparsi troppo dei “danni collaterali”. Il primo è “incarnato” nel mondo fino all’ambiguità, la seconda custodisce la spiritualità ascetica del “contemptus mundi”. Uno scontro irriducibile, anche perché non tra persone, ma tra idee.

In questo è il limite del film che è più allegoria che metafora di una situazione ambientata all’inizio degli anni ’60 ma ancor oggi non risolta, tra un vento conciliare che invita ad aprire fiduciosamente le finestre al mondo, e la paura di fronte alla novità violenta di quel vento che rischia di mandare a quel paese anche il bello del vecchio ordine.

Quanto al dubbio del titolo, per l’uno è approccio necessario alla complessità misteriosa della realtà e condizione per la comunione e la fede (come il naufrago nella parabola all’inizio del film). Per l’altra, più prosaicamente, è il sospetto nei confronti della carica sovversiva di padre Flynn che può mandare in pezzi il mondo, come il vento nel giardino della canonica in quel tardo auntunno del ’64. È per questo che si scatena sulla traccia delle molestie sessuali nei confronti dell’unico studente di colore, il dodicenne a rischio Donald Miller, pur senza prove, quando l’angelica James le offre il destro. Dopo di che, raggiunto il climax della contrapposizione, il film entra in stallo e precipita in un finale che fa patta tra l’apparente vittoria di lei e la sostanziale (e fuori campo) promozione di lui, più una nemesi appiccicata che impone a sister Aloysius di vivere nel dubbio, “un atroce dubbio” prezzo della battaglia.

 


 

Nello spettatore il dubbio si insinua a scoppio ritardato, dopo la visione, quando superato l’impatto della messa in scena che non lascia dubbi verso chi debba andare la simpatia, comincia a domandarsi se, tutto sommato, qualche sr. Aloysius in più non avrebbe risparmiato alla Chiesa americana il naufragio tra gli scandali pedofili. La risacca del dubbio porta allora a galla dettagli incongrui nella rappresentazione di p. Flynn, e disturbanti, come l’insistita esibizione delle unghie lunghe ma curate, la repulsione istintiva di un allievo, la cena coi confratelli impregnata di volgare disprezzo per le donne, l’arroganza naturale con cui nell’ufficio della preside siede al posto di lei o abbassa le veneziane che lei ha alzato; dettagli che non riequilibrano il discorso filmico, come vorrebbe l’autore, ma almeno lo incrinano. Quel tanto che basta per chiedersi se davvero p. Flynn rappresenti la novità del Concilio o soltanto l’altra faccia di Sr. Aloysius, e se la violenza di quel vento non chieda una riconciliazione più radicale dentro la chiesa, a monte della riconciliazione tra modernità e tradizione, tra maschile e femminile; nel riconoscimento reciproco pieno e paritario, in una “nuova” contemplazione del mistero dell’immagine e somiglianza che si realizza nell’unione tra i due generi. Sembra questo il sottotesto espressivo più interessante del film e l’anno paolino potrebbe essere l’occasione giusta per raccogliere la provocazione.